martedì 8 maggio 2018

Voci del verbo andare

di Jenny Erpenbeck, Sellerio

Storie di uomini disperati, in fuga da realtà di guerra e proiettati in una Germania dalla burocrazia kafkiana, visti con gli occhi di un uomo che ne legge le caratteristiche attraverso il filtro di una profonda cultura classica e di un vissuto caratterizzato dalla riunificazione tedesca conseguente all'abbattimento del Muro. Proprio la cultura classica rappresenta il filtro decodificatore del rapporto con i profughi, in un approccio che riesce a non farsi condizionare né dal pregiudizio, né dall'altruismo, alla ricerca di un'identità possibile ma sconosciuta.

Richard è un professore universitario in pensione, vedovo e benestante. In una delle sue passeggiate nel centro di Berlino, si imbatte casualmente in un gruppo di profughi che stanno protestando pacificamente. Incuriosito dal loro aspetto, testimonianza vivente di fuga e disperazione, inizia a seguirne il destino tra un campo profughi e il calvario della richiesta dei documenti necessari per certificare l'esistenza stessa di un individuo, in una Germania burocratica e severa, ostaggio di leggi complicate il cui unico scopo apparente è quello di allontanare il più velocemente possibile dal suolo germanico il fastidio dato dai profughi provenienti dall'Italia. Avvicinandosi a questi ragazzi, ascoltando le loro storie di guerra, costretto ad abbandonare le proprie certezze sul presente, Richard si rende conto che il dramma più grande dei profughi è proprio la perdita dell'identità culturale, gradualmente smarrita senza che una nuova ne prenda il posto. La sua vita e la sua formazione classica lo aiuteranno a decodificare i racconti e i comportamenti di questo gruppo di uomini smarriti nel presente, uniti solo dalla ricerca di un rifugio che l'Occidente non ha nessuna voglia di offrire loro.

Giudizio sintetico: Profugo

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