sabato 19 dicembre 2020

L'Avversario

di Emmanuel Carrère, Adelphi

Il tema del doppio non è nuovo nella letteratura. Viene subito alla mente il romanzo di Stevenson,
Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hyde, il volto buono di una persona e quello malvagio della stessa. Ma in questo libro, Jean Claude Romand non è un personaggio di fiction, bensì il protagonista di  un fatto di cronaca avvenuto in Francia, un uomo considerato fino a quel momento un medico di tutto rispetto che ha fatto molto parlare di sé per aver sterminato la famiglia.

Il 9 gennaio 1993 Jean Claude Romand uccide la moglie Florence e i loro bambini di 5 e 7 anni. Poi ammazza anche i propri genitori. Tenta il suicidio appiccando il fuoco alla propria casa, ma viene salvato dall'incendio. Il narratore di questa tragica storia premette di essere entrato in contatto con il protagonista, di aver assistito al processo e di aver cercato di entrare nella psiche di quest'uomo, una persona stimata fino al momento della strage, un medico divenuto ricercatore all'OMS di Ginevra, benestante, meritevole anche per non aver messo mai in evidenza con gli altri i propri successi e le proprie capacità. La realtà è un'altra: Jean Claude non si è mai laureato. Da quando non è riuscito a sostenere l'esame di ammissione al secondo anno della Facoltà di Medicina, non ha proseguito gli studi. Ha solo raccontato di essersi laureato, di lavorare all'OMS a Ginevra non lontano dal paese in cui abita, Prevessin, con la famiglia. E la famiglia e gli amici gli hanno creduto. Si è servito per vivere agiatamente del denaro che parenti e amici gli hanno affidato, sicuri che l'avrebbe investito in Svizzera nel modo migliore. Diciotto anni di bugie – diciotto anni – senza destare sospetti. Ma quando il dubbio sembra affiorare e la verità venire a galla, Jean Claude decide di "fuggire". La fuga però non è il suicidio ma innanzitutto l'uccisione dei propri cari, anche dei due figli piccoli. Il narratore indaga la vita del protagonista, ricostruisce tutte le sue bugie, i momenti in cui avrebbe potuto svelare la verità e uscire da quella situazione asfissiante e non l'ha fatto, quasi sopraffatto dal proprio altro io, l'avversario. Un romanzo che racconta, in una prosa forse troppo cronachistica, una vicenda inquietante suscitando nel lettore tanti interrogativi sulla conoscenza di sé e degli altri, senza tuttavia riuscire a cogliere il mistero doloroso di una psiche. 

Giudizio sintetico: Duplex

L'oceano di mezzo

di Federico Rampini, Laterza


Il sottotitolo "un viaggio lungo 24.539 miglia" risulta addirittura riduttivo per il numero di Paesi vissuti in prima persona dal giornalista, che è stato corrispondente dall'estero, professore universitario, autore di libri e spettacoli, e che ha vissuto a lungo in almeno tre continenti. Diversamente da altre sue opere in questo caso, sull'aspetto economico-sociale dei luoghi, prevalgono quello autobiografico ed esperienziale.

Prendendo spunto dalle diverse fasi della sua vita, che lo hanno visto vivere a lungo in molte delle città più importanti del mondo, Rampini ne cattura alcuni momenti salienti per descriverne le particolarità, le curiosità sociali, le esperienze singolari vissute in prima persona. I capitoli sono dedicati alle varie città come una sorta di autobiografia geografica che ne fotografa le peculiarità nei momenti in cui l'autore vi ha soggiornato, ma che nel contempo ne sottolinea le differenze rispetto alla realtà odierna. 
Separati e intervallati dagli acquerelli di Nicola Magrin, scorrono così tra le pagine le origini genovesi, la Milano del lavoro e della nebbia, l'adolescenza a Bruxelles, le vacanze e il primo incarico parigino, il rumore di New York, gli anni in Asia – vissuti nel periodo dello sviluppo delle due potenze dominanti Cina e India, ma anche dell'emergente Indonesia e del Giappone – per poi tornare alla West Coast americana, non tralasciando una singolare ed episodica puntata in Eritrea. 
Un vero giro del mondo, osservato con l'occhio aperto dell'osservatore cosmopolita, cittadino del mondo, che non rinnega le proprie radici familiari ma che è sempre pronto ad impiantarne di nuove. Ed è proprio nell'apertura alla diversità culturale, nell'incanto della scoperta e nel disincanto dell'ideologia politica, che risulta più evidente la cifra di un libro breve ma non brevissimo che non è autobiografia, non è reportage, non è antropologia geografica, ma è il racconto di un marinaio di lungo corso che a dispetto del titolo, per sua stessa ammissione, non ha mai solcato i mari.

Giudizio sintetico: Mappamondo

sabato 12 dicembre 2020

L'eleganza del riccio

 di Muriel Barbery, Edizioni e/o


Un successo editoriale da 50 milioni di copie, imperniato sulla necessità di nascondere se stessi, le proprie qualità, per sopravvivere in un mondo in cui contano di più la sfrontatezza e l'apparenza rispetto alla nobiltà d'animo e alla cultura. Una scelta di mimesi che scavalca le generazioni e il censo, analizzata con un'introspezione filosofica ironica, capace di stupire per la sua accuratezza. Parole pesanti come macigni espresse con la leggerezza di un sorriso.

Renée è una vedova di mezza età che fa la portinaia di un lussuoso stabile parigino, un microcosmo abitato da famiglie benestanti che vantano un'esistenza più che agiata. Nessuno la nota, è una donna insignificante e brutta che rappresenta il cliché di una classe di rozzi pigri, apparentemente destinati a servire le élite. Nella sua vita, un marito morto ormai da anni, un gatto – Lev – talmente grasso da non muoversi quasi più, la televisione perennemente accesa su programmi nazionalpopolari. Dietro questo paravento di mediocrità, tuttavia, si nasconde un'altra Renée, una donna dalla cultura eccezionale che ha letto tutti gli autori, segue i teatri più importanti e ascolta la musica più raffinata, frequentatrice di biblioteche universitarie e con una conoscenza dell'arte profonda e consapevole. La seconda Renée è gelosamente nascosta dalla prima, e vuole rimanere anonima per non scontrarsi con la realtà degli inquilini dello stabile, arrivisti finto-progressisti che considerano la cultura un bene di consumo, silenziosamente convinti di esserne la massima espressione in virtù della propria agiatezza. Unica eccezione, Paloma, figlia minore di un ministro, che come Renée nasconde la propria straordinaria intelligenza per non scontrarsi continuamente coi propri familiari, che sopporta disprezzandoli. Ma come due animali sentono la propria affinità, così la donna e la bambina si studiano, si annusano, simpatizzano, fino a legarsi l'una all'altra grazie ad un singolare e ricco signore giapponese.
Un libro complesso e ironico, mai banale, che offre spunti emotivi, culturali e psicologici interessanti e che riesce continuamente a evocare, con poche parole, anche le emozioni più complesse, nello stesso tempo deridendo in modo quasi sarcastico le manie e la prosopopea di una intellighenzia tanto boriosa quanto inconcludente ma capace di generare al proprio interno perle di eccezionale valore.

Giudizio sintetico: Dissimulatorio

Bugiarda no, reticente

di Franca Valeri, Einaudi 

Un'autobiografia – o meglio, una conversazione dell'artista – che rivela, alla soglia dei 90 anni, scorci dei propri ricordi, memorie che affiorano nelle sue veglie notturne: eventi, persone, luoghi della sua vita. "La mente è una minuziosa macchina da presa che entra in tutte le stanze del passato, non sfugge uno sgabuzzino, né il balcone di una cucina". Ricordi e riflessioni di un personaggio dotato di ironia e intelligenza straordinarie.

Francesca Maria Norsa, in arte Franca Valeri, nome d'arte ispirato al poeta Paul Valery, dedica questo libro "Alla signora Cecilia, la mia mamma" che ha segnato la sua prima formazione nella Milano degli anni '30, città in cui Franca è nata il 30 luglio 1920, in una famiglia ebraica molto benestante. La madre vuole per i figli, un maschio e una femmina, vestiti di sartoria, buone scuole e letture scelte, lezioni di francese, palco alla Scala. Con il padre, ingegnere, uomo ironico, poco convinto delle ambizioni artistiche della figlia, Franca ha in comune la passione per la cioccolata. I ricordi affiorano senza seguire un ordine cronologico: le leggi razziali, il trasloco a Roma, gli amici, i colleghi, gli incontri straordinari come quello con Charlie Chaplin. La sua lunga carriera, dagli esordi in Francia con il teatro dei Gobbi, ai personaggi più celebri, la signorina Snob e la signora Cecioni, il suo impegno nel cinema con la  predilezione per 2 film – Il segno di Venere e Parigi o cara – scritti da lei. Due lunghe storie d'amore, con due traditori. Ma anche lei non era poi del tutto fedele, se si pensa che l'amore principale della sua vita è sempre stato il Teatro. Un dialogo arguto, quello di Franca, con l'invisibile intervistatrice cui si rivolge, sobrio e privo di retorica, costruito per sottrazione, anche nei riferimenti alla malattia e alla vecchiaia quando "il tempo per pensare è sovrabbondante" e "non c'è più posto possibilmente per gli errori".

Giudizio sintetico: Generazione preparata

venerdì 4 dicembre 2020

Vite che non sono la mia

di Emmanuel Carrère, Einaudi 


Un romanzo che, partendo da esperienze vissute, collettive e personali, si interroga sul senso della vita, sull'amore, sul rapporto che lega ognuno di noi agli altri esseri umani. Le esistenze degli altri, se guardate con interesse profondo, ci liberano dalla prigione del nostro io modificando il nostro modo di vedere la realtà.

Emmanuel e Hélène sono in vacanza nello Sri Lanka nel 2004. Nella notte di Natale, quella che precede lo tsunami, pensano con malinconia che quelle saranno le loro ultime vacanze insieme. La grande passione che li aveva uniti creando l'illusione di costruire una vita insieme, di invecchiare insieme, si sta spegnendo. Non c'è astio tra i due, solo la consapevolezza che i sentimenti finiscono. Ma il giorno successivo lo tsunami travolge tutto e tutti, modificando nel tempo anche il loro rapporto. L'isola non è più quella di prima, coperta di fango e corpi straziati, i sopravvissuti cercano i loro cari con un'angoscia che li soffoca. Emmanuel e Hélène vivono il dolore lacerante di una coppia, anch'essa di origine francese, che perde la figlioletta di 4 anni, Juliette, spazzata via dall'onda anomala; assistono alla disperata ricerca di una donna, che ha smarrito il marito e, paventandone la morte, è sicura che non potrà sopravvivergli. Tornati in Francia, dopo poco tempo un'altra sciagura, questa volta nell'ambito familiare. La sorella di Hélène, anche lei di nome Juliette, sta male: cancro al seno con metastasi ai polmoni. Già da ragazza il cancro l'aveva colpita rendendola zoppa, ora ha 33 anni ed è un giudice, è sposata con Patrice – che ama molto – e ha 3 figlie piccole, l'ultima di solo 15 mesi. Parlando a lungo con Patrice ed Etienne, amico e collega di Juliette, Emmanuel vive le loro esistenze e comprende il legame tra Juliette e Etienne; anche lui ha avuto il cancro, si è interrogato sulla malattia, ha vissuto, come la donna, il timore e la speranza che i propri cari, dopo la propria morte, riusciranno a comunque a vivere. Con lui può rivelare i momenti di disperazione, risparmiati a Patrice. 
Un romanzo intenso, che sebbene sia scritto in prosa scorrevole è anche faticoso  per i temi trattati, soprattutto nella seconda parte. Un romanzo che rimane nel cuore del lettore. 

Giudizio sintetico: Vite vissute