di Amin Maalouf, Bompiani
Un viaggio lento e meticoloso, realizzato con uno stile cronachistico affettuoso e malinconico, nel quale lo scrittore libanese si addentra nella storia personale della sua famiglia alla ricerca orgogliosa delle radici del proprio cognome, usando come filo conduttore la vita del proprio nonno, in una duplice collocazione geografica tra l'Impero ottomano e la Cuba prerivoluzionaria.Non è un vero e proprio romanzo, questa lunga e meticolosa ricerca delle proprie radici patronimiche. Filo conduttore del racconto la vita di Botros, nonno paterno dell'autore; un'esistenza contraddistinta da una forte indipendenza culturale e da un laicismo illuminista originali per i tempi e i luoghi in cui ha vissuto (la zona vicina a Beirut, alla fine del XIX secolo). Insegnante, poeta, uomo d'affari, Botros finisce per scontrarsi con il mondo bigotto del suo tempo, districandosi con autorevolezza tra i fragili equilibri familiari e religiosi che intrecciano le chiese cattolica e protestante e coinvolgono i membri della sua comunità. Il maturo e già noto Amin Maalouf si lascia trascinare in un viaggio attraverso i continenti alla ricerca di una storia familiare per lui sconosciuta, guidato solo da una valigia piena di antiche lettere inviate e ricevute, obsoleto ma ancora affascinante vaso di Pandora comunicativo di un tempo invariabilmente destinato all'oblio. Non il più avvincente libro di Maalouf, se paragonato a Leone l'africano o a Il manoscritto di Samarcanda, ma una lettura sicuramente interessante per lo stile raffinato e la rigorosa ricerca storica cui lo scrittore ci ha ormai abituati.
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