di Salvatore Niffoi, Adelphi
Tanto difficile quanto affascinante, questo romanzo storico ci introduce in un mondo autarchico, la Barbagia del periodo fascista, attraverso la musicalità di una commistione tra italiano e dialetto che riesce non soltanto a comunicare passioni, colori e durezza di un contesto rurale fatto di emozioni forti e sangue, ma anche i rumori e gli odori di un ambiente dominato da animali e piante nel quale gli umani si muovono e si scontrano con rapporti sociali, regole e abitudini arcaiche ma autentiche.Nella Barbagia degli anni tra le due Guerre mondiali si compie il destino di Mintonia Savuccu, giovane vedova del latitante Micheddu, ucciso in modo cruento dopo una vita passata per buona parte alla macchia. Il dolore e la rabbia di Mintonia esplodono nel primo capitolo con un lungo monologo che traccia la linea lungo la quale si muove il resto del romanzo, una lunga lettera scritta a caldo e spedita alla nipote dall'America Latina mezzo secolo dopo, perché il ricordo non muoia con i protagonisti di una vicenda in cui la rabbia e il carattere hanno deciso della vita e del futuro di vittime e colpevoli.
La scelta di Niffoi di servirsi del dialetto per tracciare con maggiore musicalità il terreno delle vicende, inizialmente lascia il lettore non sardofono alquanto perplesso e attonito, tuttavia dopo il primo capitolo – davvero spiazzante – il registro cambia a sufficienza da permettere una comprensione maggiore del racconto, storia della vita e della sete di vendetta di una donna combattiva che non riesce ad accettare il destino che il suo paese sembra averle assegnato.
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