sabato 28 settembre 2019

Di sangue e di ghiaccio

di Mattia Conti, Solferino

Romanzo imperniato sulla situazione dei manicomi a fine '800, nel periodo in cui le teorie di Lombroso sembravano offrire una facile soluzione all'analisi e alla cura dei "mentecatti", spesso solo poveri cristi che le famiglie internavano per levarseli di torno. 

Lecco, fine 1800. Ranocchia è un ragazzo poco più che adolescente, gracile e balbuziente, che la famiglia ha lasciato andare via di casa e che sopravvive grazie all'aiuto di Bandini, un capocomico che ha indovinato le enormi capacità teatrali del giovane – che sul palco si trasforma smettendo di balbettare e recitando con potenza –, dotato oltretutto di una memoria prodigiosa. Un giorno tuttavia Ranocchia sembra impazzire, e viene ripescato nudo dal fiume gelato mentre vaneggia. L'unica soluzione apparente è quella di ricoverarlo al San Martino, l'ospedale dei "mentecatti", al quale è da poco arrivata anche Bianca, la Maestrina che a Ranocchia ha insegnato a leggere e scrivere.
Romanzo storico solo in parte, poiché l'ambientazione è circoscritta alla struttura ospedaliera di Como e ai dintorni di Lecco, l'odissea di Ranocchia e la sua ricerca da parte di Bandini si leggono soprattutto per la curiosità di "sapere come va a finire", anche se a volte la commistione tra il registro colloquiale-regionale e ricercate forme evocative lascia un po' perplessi.

Giudizio sintetico: Psichiatrico

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