di Luigi Zoja, chiarelettere
Ernesto Che Guevara, un mito del secolo passato, un eroe che porta a compimento il suo destino quando trova la morte sulle montagne della Bolivia mentre prova ad accendere anche in quel paese la fiamma della rivoluzione. Cambiare tutto con la violenza, dal basso: è davvero questa la strada per arrivare ad una società più giusta e ad un uomo nuovo?Sovvertire con la violenza un ordine sociale ingiusto coltivando il sogno di riuscire a dar vita ad un "uomo nuovo", per approdare invece ad una società altrettanto ingiusta e manchevole uccidendo, e per sempre, ogni sogno utopico e ogni speranza in un mondo più giusto e solidale. Questo il risultato di ogni rivoluzione massimalista, sostiene in maniera convincente lo psicanalista junghiano Luigi Zoja in Utopie massimaliste, un libro di qualche anno fa assolutamente non invecchiato; anzi, visto come va il mondo, di strettissima attualità. Cambiare il modello sociale dimenticandosi però dell'individuo, illudersi, attraverso il processo collettivo della rivoluzione, di mettere le basi di un mondo nuovo, è "una contraddizione in termini" scrive Zoja. E dunque il nostro inevitabile destino è quello di non poter mai trasformare nulla, di essere costretti a vivere per sempre in questo mondo ingiusto? L'unica possibilità, secondo lo psicanalista autore del libro, è quella di cambiare prima l'uomo potenziando ciò che ha già dentro, cioè, in altre parole, dando vita al minimalistico processo di "individuazione". Cambiare se stessi per poter cambiare il mondo, un percorso inverso rispetto a quanto avvenuto nel comunismo reale che si è illuso che fosse sufficiente cambiare il modello economico per trasformare il modo di essere dell'uomo.
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