sabato 22 settembre 2018

Lamento di Portnoy

di Philip Roth, Einaudi

Nell'anno della morte dello scrittore americano, è sorprendente riscoprire il suo libro più famoso e che suscitò il maggiore scandalo, un lungo monologo immaginario sul divano dello psicanalista che dal 1969 - anno della sua pubblicazione - non ha ancora perso nessuna delle caratteristiche che lo rendono ancora oggi moderno e godibile, quasi che l'antisemitismo, il rapporto con la famiglia e la brama di avventure sessuali non si fossero mai modificati di una virgola in mezzo secolo di storia e di rivoluzione sessuale.

Alexander Portnoy è sul lettino dello psicanalista, e all'età di trentatre anni si racconta a partire da quando era bambino, un bambino ebreo in un quartiere ebreo, in una famiglia ebrea con una madre ebrea che lo manda in una scuola ebrea. L'appartenenza rigida a questo mondo che ruota intorno ad un ombelico semitico ristretto, nell'America che ha appena scoperto l'olocausto, fa da filo conduttore alle vicende di un ragazzo che sembra non aver mai superato il complesso di Edipo e che non riesce a pensare ad altro che al sesso, con un'attrazione irresistibile per le donne non ebree. Lo scandaloso rapporto di sesso, potere e discriminazione che lo lega alla Scimmia, donna bellissima e ignorante, è l'emblema dichiarato dello smarrimento irrisolto di un eterno adolescente che non riesce a venire a patti con la propria coscienza e non sa assumersi le responsabilità che un rapporto maturo con l'altro sesso gli richiederebbe.

Giudizio sintetico: Freudiano

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