di Mo Yan, Einaudi

Tre personaggi, tre caratteri molto diversi tra loro, raccontati da una voce narrante anomala, che divora gessetti restando su un trespolo e che mischia continuamente le coniugazioni verbali riuscendo a passare nello stesso periodo dalla prima, alla seconda e alla terza persona. La confusione regna in questo piccolo spicchio di Cina comunista, nel quale due insegnanti che condividono la stessa scuola e sono anche vicini di casa si trovano proiettati in una favola onirica in cui uno muore apparentemente, e dopo il risveglio finisce accidentalmente a casa dell'altro, la cui moglie decide di cambiargli i connotati per creare una copia del proprio marito, in modo da poter raddoppiare le entrate di casa. La donna, esperta truccatrice di cadaveri e chirurgo plastico a tempo perso, è forse il perno attorno al quale ruota tutta la surreale vicenda: disinibita, decisa, capace, avida, sembra incarnare l'esatto contrario dell'ideale femminile della propaganda comunista, e non a caso si contrappone alla moglie del "morto", che oltre che essere russa e procace come il migliore simbolo dell'opulenza sovietica, piange continuamente e lavora in una fabbrica di carne conservata senza farsi condizionare emotivamente dalle crudeltà che deve commettere sugli animali dei quali si occupa. Chi volesse individuare nelle figure principali e secondarie, o negli avvenimenti fantastici narrati una metafora della società cinese o della sua controparte Occidentale troverà abbondante materiale per le proprie argomentazioni. Di sicuro, rimangono il disordine narrativo e l'estremizzazione di racconto e personaggi, non facili anche per il lettore più aperto.
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