di Carlo Lucarelli, Mondadori
La libertà e l'indipendenza di un Viceinvestigatore della Polizia nella fase di maggiore pressione del periodo fascista. In questo, più che in altri libri dello stesso autore ambientati nel Ventennio, appare evidente la difficoltà di coniugare desiderio di verità e rispetto degli stringenti vincoli imposti dal regime, con un protagonista timido e impacciato ma sorprendentemente cocciuto, tanto da scontrarsi con poteri forti contro i quali non ha nessuna speranza di successo.
Rimini, 1936. Marino è un vicecommissario emotivamente instabile, che non ha fatto carriera perché cerca sempre di trovare la verità anche dove le ragioni pratiche gli suggerirebbero di lasciar stare le cose come stanno. Appena lasciato dalla moglie, stufa di condividere la propria esistenza con un uomo dedito al lavoro ma economicamente fermo al punto di partenza, viene chiamato a svolgere un'indagine su un cadavere ritrovato sulla spiaggia, quello di una prostituta nota per accompagnarsi ad un balordo, un piccolo delinquente che viene immediatamente indicato come l'autore del delitto. Un colpevole da arrestare subito, anche se la vicenda presenta molti punti oscuri, perché nelle immediate vicinanze del luogo del delitto sta trascorrendo le vacanze "Lui", il Duce, il cui riposo non può assolutamente essere turbato. Solo che Marino non è convinto, e inizia una personale indagine, non autorizzata – come recita il titolo – e che lo condurrà a scontrarsi con una strana famiglia di nobili e con diverse figure legate al regime: faccendieri, delinquenti, politici, pretoriani...
Un romanzo imperniato sul condizionamento della dittatura sull'indagine poliziesca, con un protagonista che se non fosse per la timidezza e i condizionamenti politici potrebbe tranquillamente rappresentare l'alter-ego nazionale dei detective americani nati dalle penne di Hammett e Chandler, emblema della cocciutaggine dell'uomo che non riesce ad accettare le imposizioni ingiuste.
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