di Flavio Soriga, Bompiani
Un romanzo sul senso di appartenenza ai luoghi, tanto più difficile da trovare quanto più il protagonista si trova a doversi dividere tra la sua isola natale, la Sardegna, e le metropoli più grandi d'Italia. A sottolineare il suo essere sempre e comunque un sardo – anzi, un cagliaritano della provincia – una patologia prettamente mediterranea che lo accompagna per tutta la vita e che gli scorre nelle vene come una spada di Damocle, senza tuttavia impedirgli di vivere una vita interessante, grazie soprattutto ad una famiglia allargata dalle imprevedibili risorse.Come il cugino, un simpatico istrione di pochi anni più grande, anche Aurelio Cossu è nato talassemico, in un paesino – Uta – di poche migliaia di abitanti a cavallo tra la città, Cagliari, e un Campidano piatto e lontano dal mare nel quale nei mesi invernali essere sardi non è facile. Aurelio altalena la voglia di fuggire alla nostalgia delle origini, dividendosi tra un lavoro come autore televisivo che lo costringe a passare periodi lunghi a Roma e Milano e dinamiche familiari che lo vedono figlio, padre, figlioccio, sempre con qualcosa di nuovo da osservare e da scoprire.
Con una lingua non facile, una cascata di parole nella quale spiccano inversioni tipiche di un registro regionale evidente e musicalmente connotato, Soriga ci porta in una Sardegna diversa sia dagli stereotipi sulla chiusura sociale dei paesi dell'interno che dalla banalità alla moda delle mete turistiche più note, tracciando un quadro estremamente realistico di una generazione allo stesso tempo insulare e cosmopolita che vuole trovare una propria strada, pur non sapendo ancora districarsi tra tradizione e modernità.
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